domenica 25 settembre 2011

PREISTORIA


Realtà e rappresentazione

Le funzioni che l’arte può svolgere sono molteplici. Tuttavia è inconfutabile che l’arte sia nata con la funzione di rappresentare la realtà. Poi l’arte è divenuta un linguaggio per comunicare con gli altri, ma inizialmente essa servì a conoscere la realtà attraverso la rappresentazione.
Lo schema che sintetizza il rapporto tra realtà e rappresentazione è il seguente:

In pratica l’Artista compie due processi fondamentali: 1) percepisce la realtà; 2) la interpreta facendosene un’idea. A questo punto nasce la rappresentazione. Essa può essere anche solo una immagine mentale, ma nel caso che a noi interessa questa rappresentazione diviene o un’immagine concreta o un oggetto.
A prescindere dal campo artistico, qualsiasi rappresentazione è sempre una conoscenza della realtà. E la conoscenza è sempre una rappresentazione.

A questo punto vale la pena capire come si suddividono le rappresentazioni. Esse sono di due tipi fondamentali: le rappresentazioni analogiche e le rappresentazioni logiche. Le prime nascono da un rapporto di analogia con la realtà (imitano le forme che percepiamo guardando), le seconde si affidano al logos (alla parola quale simbolo che descrive la nostra idea della realtà).

Facciamo un semplice esempio: la fotografia di una sedia è una rappresentazione analogica, la parola «sedia» è anch’essa una rappresentazione, ma di tipo logico. In pratica se la rappresentazione è principalmente rappresentazione degli elementi percettivi (ciò che si vede) diciamo che essa è analogica. Se invece la rappresentazione tiene più conto della nostra idea o concettualizzazione della realtà (ciò che pensiamo) essa diviene di tipo logico. Le rappresentazioni logiche ricorrono in genere a simboli o segni di tipo linguistico (parole) o matematico (numeri e formule). Le rappresentazioni analogiche usano quasi esclusivamente le immagini.
Ma l’immagine non sempre è analogica: può anch’essa essere di tipo logico. Ma prima di proseguire bisogna introdurre un altro concetto: quello di naturalismo. Definiamo una rappresentazione naturalistica quando essa è uguale alla percezione. Viceversa una rappresentazione è antinaturalistica quando è diversa dalla percezione. Facciamo un esempio. Un ritratto eseguito da Raffaello è un’immagine naturalistica; la scomposizione cubista di un volto come realizzata da Picasso è una rappresentazione antinaturalistica.

In pratica anche nella costruzione dell’immagine si può dare prevalenza o agli elementi della percezione o a quelli dell’interpretazione. Nel primo caso diciamo che l’immagine è di tipo naturalistico, e quindi l’arte che la produce si muove in un sistema ottico. Nel secondo caso diciamo che l’immagine è di tipo antinaturalistico, e quindi l’arte che la produce si muove in un sistema concettuale.
Tutta la storia dell’arte si è mossa in questi due ambiti fondamentali: il sistema ottico e il sistema concettuale, producendo opere che sono variamente collocabili tra rappresentazioni naturalistiche e rappresentazioni antinaturalistiche.
________________________________________
Dopo questa necessaria premessa cerchiamo di capire cosa avviene in quella straordinaria stagione culturale che è stata la preistoria.
Con il termine preistoria si intende quel grande periodo che precede l’invenzione della scrittura, la cui prima comparsa è databile al 4.000 a.C. È un periodo lunghissimo che inizia qualche milione di anni fa, dalla prima comparsa dell’uomo al mondo. Ma la storia dell’arte inizia molto dopo: all’incirca intorno al 30.000 a.C. A questo periodo risalgono le prime testimonianze artistiche a noi giunte. Il periodo che quindi ci interessa viene suddiviso in tre grandi blocchi: il paleolitico, il mesolitico, il neolitico:
• l’arte paleolitica va all’incirca dal 30.000 al 10.000 a.C.
• l’arte mesolitica va all’incirca dal 10.000 al 6.000 a.C.
• l’arte neolitica va all’incirca dal 6.000 al 4.000 a.C.
Dopo questo periodo inizia la storia, in quanto compare la scrittura, ma finisce anche l’età della pietra, in quanto viene scoperta la metallurgia e compaiono i primi utensili metallici.
Arte paleolitica
I primi esempi di arte figurativa risalgono a circa 25.000 o 30.000 anni fa. Questa età viene definita paleolitica, in quanto sono i periodi iniziali in cui l’uomo utilizza utensili in pietra. Le manifestazione artistiche di questo periodo sono pitture rupestri ritrovate in grotte, spesso inaccessibili, ubicate soprattutto nella Francia centrale e nella Spagna settentrionale, o sculture sbozzate in piccole pietre. Il dato che che appare evidente, in queste prime rappresentazioni, è l’aderenza al naturalismo: l’uomo preistorico concepisce le immagini come raffigurazione del mondo visibile. Realtà che, al di là dei suoi limiti tecnici, l’artista cerca di raffigurare così come egli la percepisce.
Molte ipotesi sono state fatte, sulle motivazioni che hanno indotto gli uomini preistorici a produrre immagini nelle caverne. Dato che i soggetti di queste immagini sono quasi sempre animali, si è pensato ad una specie di ritualità religiosa. L’uomo del paleolitico viveva soprattutto di caccia. Procurarsi il proprio sostentamento con un’attività violenta basata sullo scontro fisico, doveva ingenerare molte ansie esistenziali. A queste si dava probabilmente una risposta in termini, che possiamo definire, magici. La magia è il credere che esistono legami misteriosi tra le cose, che, se sfruttati, producono relazioni di cause ed effetti. Da sempre, uno dei pilastri della magia, è il credere che esista un legame invisibile tra l’immagine e la cosa rappresentata. In tal modo, si può produrre un effetto (benefico o malefico) sulla cosa (per esempio, un animale), agendo sulla sua immagine. Così si giustificherebbe questa produzione di immagini di animali, quale magia propiziatoria, che compivano i cacciatori, prima di andare a caccia.
Tuttavia, ricorrendo allo schema illustrato sopra, la rappresentazione del reale, è sempre momento di conoscenza. Attraverso la costruzione di una immagine, si chiarisce meglio, a livello di coscienza dell’artista, la realtà che si va a rappresentare. È probabile che questa sia la spiegazione più semplice, ma più plausibile, del perché l’uomo del paleolitico abbia iniziato a disegnare immagini nelle caverne: conoscere la realtà.
Arte mesolitica e neolitica
L’età paleolitica finisce circa 12.000 anni fa. In questo periodo si ha una modificazione notevole nelle società umane, passando queste da una economia di prelievo (caccia e raccolta di vegetali spontanei) ad una economia di produzione (agricoltura ed allevamento). Le conseguenze di ciò furono notevoli, e portarono ad una struttura embrionale delle società umane, che è ancora quella attuale.
Possiamo ritenere che il cacciatore paleolitico non avesse un legame stabile con un luogo specifico, ma vivesse di flussi migratori, spostandosi alla ricerca di nuove mandrie da cacciare. L’agricoltore mesolitico deve necessariamente radicare la propria vita al sito che ha scelto di coltivare. Nacque così il concetto di proprietà terriera, necessario per distinguere dagli altri il sito che il singolo agricoltore coltivava. Si specializzò ulteriormente la differenziazione dei popoli, in quanto gli agricoltori che coltivavano appezzamenti contermini, finirono per costituire una comunità con propri usi e costumi. In questo momento, in pratica, nacque il concetto di nazione, come connubio di etnia e di territorio di appartenenza. Ed in questa fase, con la necessità di insediamenti stabili nacquero l’architettura e le prime forme di insediamenti urbani. L’attività costruttiva, insieme a quella agricola, fu l’inizio della trasformazione che, da allora, l’uomo è andato compiendo della superficie terrestre, trasformandola da ambiente naturale, ad habitat umano. In sintesi, possiamo ritenere che in questa fase nacque il concetto di territorio, così come ancora oggi lo intendiamo.
Con le prime forme di villaggi stabili e di città nacque la specializzazione del lavoro, e di conseguenza la società cominciò a differenziarsi in classi sociali. In questa fase, possiamo ritenere che si modificò anche la religione. Le divinità dei cacciatori paleolitici non potevano che essere maschili, perché dovevano "dare" la forza necessaria allo scontro con le prede. Le divinità degli agricoltori neolitici divennero femminili, perché l’agricoltura si fonda non sulla forza (che è un principio genetico maschile) ma sulla fertilità (che è invece un principio genetico femminile). Il cacciatore si procurava il cibo attraverso la morte, l’agricoltore attraverso la nascita.
Un ritorno alle divinità maschili si ebbe quando la forza divenne nuovamente un elemento propulsivo. Quando, cioè, le comunità divennero predatrici di altre comunità. La conquista della ricchezza avveniva non più a scapito della natura e degli animali, ma a scapito degli altri uomini che avevano già accumulato altre ricchezze. Ma questo è un passaggio che si comincia a verificare nell’età neolitica ma che diverrà intenso solo quando si passerà dalla preistoria alla storia.
Ma nel mesolitico e nel neolitico assistiamo anche ad una fondamentale rivoluzione per ciò che riguarda l’arte e la comunicazione in genere. Le rappresentazioni paleolitiche sono di tipo naturalistico. Colgono soprattutto l’immagine della realtà. Nel mesolitico e neolitico le rappresentazioni divengono sempre più antinaturalistiche. Si passa prima dall’immagine al simbolo, poi da questo ultimo al segno. In pratica si comincia ad elaborare un sistema di rappresentazione più generico che porta alla sostituzione dell’immagine con un segno di più semplice realizzazione e di più immediata utilizzazione. È questo il passaggio fondamentale che consente all’uomo primitivo di passare da un rappresentazione analogica ad una logica. È il passaggio che determina l’invenzione della scrittura.
In questo momento, con l’invenzione della scrittura, l’uomo riesce ad avere un linguaggio più articolato. Riesce ad elaborare un meccanismo che serve a pensare, ancor prima che a comunicare. È solo grazie al linguaggio che l’uomo può articolare dei pensieri, e non solo elaborare delle sensazioni, in quanto il linguaggio è lo strumento di pensiero per eccellenza. Ma, affinché si abbia un linguaggio, deve avviarsi un grande processo che è quello della significazione. Bisogna, cioè, rende universalmente validi i segni linguistici, e le regole per usarli.
In base alla moderna linguistica, si definisce segno l’unione inscindibile di significato e significante. Una parola (sedia, tavolo, bottiglia, bicchiere) è un segno. Essa rappresenta una realtà, così come le immagini, ma in maniera diversa. Le immagini colgono l’aspetto visibile del reale, le parole solo il concetto. Per cui, con l’immagine si ottiene una rappresentazione di una realtà particolare, con le parole si ottiene una rappresentazione più generica ed universale (la parola «sedia» indica tutti gli oggetti, indipendentemente da forma e fattura, che permettono di sedersi, la parola «bottiglia» tutti gli oggetti, di dimensione non eccessiva, che consentono di contenere un liquido; e così via).
I segni linguistici, proprio perché non rimandono visivamente all’immagine delle cose, per funzionare devono essere univoci: ad una categoria di oggetti deve corrispondere un solo segno, e quel segno deve indicare solo quella categoria di oggetti e non anche altre. In questo modo nasce un segno: quando la parola (il significante) indica, senza possibilità di errore, l’oggetto o il concetto che rappresenta (il significato).
Questa fase di elaborazione del linguaggio, nel grande processo della «significazione», viene testimoniata proprio dalle rappresentazioni artistiche del mesolitico e neolitico. Le raffigurazioni tendono ad essere sempre più semplificate e stilizzate. Si passa, in sostanza, dal disegno al segno.
Le raffigurazioni non colgono più l’individuo, ma diventano il simbolo di una classe di individui. Operando per categorie concettuali, si passa da un pensiero fondato sull’analogia (l’immagine) ad uno fondato sulla logica (la parola).
Rispetto alle pitture, vengono preferite le incisioni, proprio per la maggiore immediatezza di esecuzione e comunicazione. Esse sono il laboratorio per arrivare alle prime forme di scrittura: quelle ideografiche, scritture cioè le cui parole hanno l’aspetto ancora di immagini fortemente stilizzate. In seguito, ma questo avverrà molti secoli dopo, l’uomo inventa anche le scritture fonetiche, così dette in quanto i segni che la compongono non descrivono direttamente le cose ma i suoni che pronunciamo nel dire una parola. Il pregio delle scritture fonetiche, che, a parte Cina e Giappone, sono oggi universalmente adottate, è di utilizzare un numero molto ridotto di segni base (le ventisei lettere del nostro alfabeto occidentale) di contro alle molte migliaia di segni che usano le scritture ideografiche.

Nessun commento:

Posta un commento