giovedì 1 dicembre 2011

da completare...................
Il contesto storico

Il Cristianesimo giunse a Roma probabilmente attraverso la minoranza giudaica, che teneva rapporti commerciali e culturali con la madrepatria Palestina: quando san Paolo visitò Roma nel 61 trovò una comunità cristiana già organizzata.

I seguaci del cristianesimo furono in primo tempo appartenenti ai ceti più poveri e gli schiavi, ma soprattutto al ceto medio romano, anche se progressivamente iniziarono a convertirsi anche famiglie di classi superiori più agiate, le quali mettevano spesso a disposizione le loro abitazioni per riunioni clandestine. Dal greco ecclesia, assemblea, nacquero le domus ecclesiae (case dell'assemblea), antesignane delle chiese. Di questi edifici di riunioni domestiche restano pochi resti archeologici, anche perché spesso, in seguito alla libertà di culto sancita dall' Editto di Costantino (313) vi furono costruite sopra basiliche.

Una conseguenza della credenza nella resurrezione dei corpi, predicata da Cristo, fu l'usanza di inumare i corpi dei defunti, in luoghi sotterranei chiamati in seguito catacombe (termine documentato dal IX secolo a proposito della Basilica Apostolorum sulla via Appia e derivato dal greco katà kymbas, presso le grotte).

L'uso di luoghi sotterranei non fu certo dettato dalle persecuzioni, poiché ci sono pervenuti ipogei anche pagani e giudaici, come quello della via Latina a Roma, risalente alla seconda metà del IV secolo. Nel III secolo Roma era già completamente organizzata per il culto cristiano, nonostante la clandestinità, con sette diaconi che sovraintendevano a sette zone distinte, a ciascuna delle quali gli spettava un'area catacombale al di fuori delle mura.



L’ Architettura del periodo Paleo-Cristiano

L'architettura ha come spartiacque l'editto di Costantino: prima si hanno domus ecclesiae (case di privati usate come luoghi di riunione clandestini) e catacombe, dopo si iniziano ad avere le prime basiliche. continua


L'architettura paleocristiana, come le altre forme d'arte dei primi secoli del Cristianesimo, non inventò niente, ma adattò modelli anteriori alle esigenze ed ai simboli della nuova religione. Nemmeno le catacombe furono una peculiarità cristiana, né tantomeno furono edificate per difendersi dalle persecuzioni: esistevano già infatti catacombe pagane e giudaiche, e la preponderanza d'uso per la sepoltura dei cristiani fu dettata più che altro dalla necessità di praticare l'inumazione per la resurrezione dei corpi predicata da Gesù Cristo.

Le prime basiliche sorsero a Roma, in Terra Santa e a Costantinopoli. Inizialmente il modello fu quello della basiliche civili, dalla forma oblunga con cinque navate, copertura a capriate e presenza di una navatella ortogonale (antesignana del transetto) che, posta nella parte finale della chiesa, era usata dal vescovo e dai sacerdoti, per questo detta presbiterio. Spesso un'abside coronava il seggio del vescovo e l'altare, ripreso dalle are pagane. Attorno all'apertura a semicupola dell'abisde si trovava una struttura ad arco, detto arco trionfale, anche se non deve essere confuso con gli archi di trionfo che erano monumenti indipendenti. Le chiese paleocristiane si riconoscono per le pareti lisce e le ampie finestre che ne illuminano l'interno dalle pareti esterne o dal cleristorio (in periodi più tardi si perse infatti la capacità tecnica di fare grandi vetrate, per cui le finestre si rimpicciolirono estremamente). A partire dalla fine del IV secolo iniziarono a diffondersi anche basiliche a pianta centrale, soprattutto dedicate agli apostoli o a martiri, o ancora cappelle palatine, come la Basilica dei Santi Apostoli a Costantinopoli o quella di San Lorenzo a Milano.

A Roma, dopo le prime basiliche fondate da Costantino (San Giovanni in Laterano e San Pietro in Vaticano), fu il vescovo di Roma (il Papa) a iniziare a commissionare nuove basiliche, a testimonianza della sua crescente importanza: San Paolo fuori le Mura, Santa Maria Maggiore (da papa Liberio, fine del IV secolo) e Santa Sabina, commissionata da Pietro Illirico verso il 425.

Ci sono giunti pochi esempi di basiliche paleocristiane intatte, per via delle continue ricostruzioni e manomissioni nei secoli, e il loro aspetto oggi è spesso legato a restauri. Tra le più importanti e significative ci sono la già citata Santa Sabina a Roma, la Basilica di Costantino a Treviri e le basiliche di Ravenna, come Sant'Apollinare in Classe.



La pittura e i Mosaici durante il Cristianesimo- Breve cenno



Anche la pittura e il mosaico dei primi secoli del Cristianesimo derivarono i propri stilemi da correnti artistiche già in atto, legate al paganesimo o ad altre religioni, attribuendo però alle rappresentazioni altri significati.

Un esempio emblematico è quello dell'immagine del banchetto, usato già da secoli nell'arte antica specialmente in ambito funerario: divenne la rappresentazione dell'Ultima Cena e quindi simbolo della celebrazione dell' Eucarestia, la liturgia fondamentale della nuova religione. Gli elementi di similitudine tra raffigurazioni cristiane e pagane nella medesima attribuzione cronologica hanno portato ad avvalorare l'ipotesi che gli artisti lavorassero indistintamente talvolta su commissione di pagani e talvolta di cristiani. Anche lo stile delle pitture va da un iniziale realismo a forme sempre più simboliche e semplificate, in linea con l'affermazione dell'arte provinciale e plebea nella tarda antichità. Con la fine delle persecuzioni, dal 313, la pittura si fece più sfarzosa, come i coevi esempi di pittura profana.



L' aniconismo, cioè il divieto di raffigurare Dio secondo un passo dell'Esodo (XX, 3-5), applicato fino al III secolo, significò la necessità di usare simboli per alludere alla divinità: il sole, l'agnello, simbolo del martirio di Cristo, o il pesce, il cui nome greco (ichthys) era acronimo di "Iesus Christos Theou Yos Soter" (Gesù Cristo Salvatore figlio di Dio).

Altre immagini-segno sono quelle che invece di narrare un avvenimento suggeriscono un concetto: il buon pastore, che simboleggiava la filantropia di Cristo, l'orante, simbolo di sapienza, ecc. Anche queste raffigurazioni furono mutuate da iconografie antecedenti: il pastore proviene da scene pastorali o allegorie della primavera, il Cristo-filosofo, deriva dalla figura del filosofo Epitteto seduto. Tutti i temi legati all'Antico Testamento vennero invece ripresi dalla precedente tradizione giudaica: pittura cristiana ed ebraica nel III secolo sono pressoché combacianti, come testimoniano gli affreschi nella sinagoga di Dura Europos in Siria (oggi al Museo Nazionale di Damasco), dove la stilizzazione formale è legata al valore simbolico delle scene.

Gradualmente la perdita di interesse verso la descrizione di avvenimenti reali porta a una standardizzazione delle scene simboliche, con un progressivo appiattimento delle figure, preponderanza di raffigurazioni frontali e perdita del senso narrativo: gli artisti infatti adesso alludono al mondo spirituale, che prescinde dall'armonia formale e dalla verosimiglianza delle forme.


da............Kigei blog
Ringrazio i ragazzi di Wikipedia, in cui abbiamo attinto per questo articolo, Grazie a tutti.

venerdì 11 novembre 2011

ARTE ROMANA

La storia...
Il lungo periodo dell’antichità si conclude con la civiltà romana, in un fortunato momento storico che vede riuniti sotto un solo impero popoli del vicino oriente e dell’occidente. Le origini di Roma risalgono all’VIII secolo a.C. quando la città cominciò a svilupparsi e ad acquistare importanza fra gli altri centri del Lazio. I primi secoli della storia di Roma coincidono con l’età della monarchia, durante la quale la città subì fortemente l’influenza delle potenti e vicine città etrusche, Veio in particolare. La storia di Roma può dividersi in due lunghi periodi:
- la repubblica (VI - I secolo a.C.): Roma si afferma sul Lazio, sugli Etruschi, sugli altri popoli italici, sulla Magna Grecia; alla fine del I secolo a.C. è padrona delle terre che si affacciano sul Mediterraneo, dalla Siria alla Spagna, dalle Gallie alla Libia;
- l’impero (da Augusto a Costantino): Roma organizza sotto di sé popoli molto diversi, a cui offre una stessa lingua (il latino), un identico sistema di leggi, un notevole sistema amministrativo. Le differenze fra l’Oriente e l’Occidente dell’impero si fanno sempre più forti e culminano con la costruzione di Bisanzio-Costantinopoli, Nuova Roma e seconda capitale dell’impero.
Arte romana
Sotto l’aspetto artistico possiamo considerare i seguenti periodi:
- primo periodo (753 a.C. ‘ 146 a.C.): dalle origini sino alla conquista della Grecia. L’arte dell’epoca dei re e dei primi tempi della repubblica si identifica con quella etrusca; in seguito acquisisce elementi greci con lo svilupparsi di relazioni con la civiltà ellenica e con la conquista della Magna Grecia.
- secondo periodo (146 a.C. ‘ 217 a.C.): dall’occupazione della Grecia a Caracalla. Dopo un inizio d’influssi greci e di imitazione, l’arte romana matura per raggiungere, prima sotto Augusto, poi sotto Traiano e Adriano, l’epoca più gloriosa.
- terzo periodo (217 d.C. ‘ 476 d.C.): da Caracalla alle invasioni barbariche. Segna il declino dell’arte romana, anche se l’architettura si mantiene ancora viva. Su questo mondo romano che tramonta sorge una nuova era, quella cristiana.
L’arte romana vera e propria, con caratteri originali che rielaborano influssi etruschi, italici e greci, si definisce a partire dal II secolo a.C. Di essa sono giunte sino a noi vastissime testimonianze, relative all’architettura (dove i romani dimostrano grandissima abilità nelle tecniche costruttive), alla scultura (ritratti, rilievi che completano le architetture), alla pittura (affreschi, mosaici). Le più imponenti e complesse architetture si realizzano in età imperiale, fra il I e il IV secolo d.C. L’arte romana fu sempre legata a situazioni contingenti e in gran parte opera di maestranze che producevano quasi in serie e con tempi stretti, per committenti mossi da interessi episodici o sedotti da mode. Nonostante ciò, nel tardo periodo repubblicano anche il mondo romano riuscì a elaborare un linguaggio figurativo autonomo, in strettissimo legame con i fatti storici e con l’evoluzione di Roma, che di questa storia fu per oltre otto secoli il motore. A Roma tutte le correnti culturali del mondo mediterraneo s’incontrarono, si scambiarono elementi e fatalmente assorbirono alcuni caratteri specifici della romanità. Nel III e nel II secolo a.C. l’impatto con le opere originali delle scuole ellenistiche di Grecia e d’oriente, prevalentemente statue, importate a Roma come prede di guerra dai generali vittoriosi, ebbe un duplice effetto: da un lato generò una produzione di imitazioni, dall’altro fornì nuovi modelli e nuovi stimoli agli artisti. Soltanto nell’ultimo secolo della repubblica emergeranno forme tipicamente romane, con il ritratto e il rilievo storico.
Architettura
I Romani sono uomini politici e uomini d’armi; la loro mentalità è proiettata verso la conquista di enormi territori. Le eccezionali reti viarie che tracciano, i ponti, gli acquedotti, le numerose città che impiantano, ci dimostrano quanto fossero consapevoli di voler lasciare una profonda traccia di sé nella storia. Questa consapevolezza spiega il grandissimo sviluppo dell’architettura nella civiltà romana: niente più delle opere di pubblica utilità e degli interventi a larga scala sul territorio, serve ad infondere nei cittadini il senso della potenza dello Stato. L’architettura è l’espressione dell’arte più utile al governo ed in questo campo la civiltà romana elabora forme e tecniche del tutto originali. Il tufo ed il travertino, pietre porose e ricche di cavità interne, sono, insieme all’argilla, i materiali di cui dispongono i romani per le loro architetture: tali materiali suggeriscono l’impiego di piccoli blocchi, legati da malta cementizia. I costruttori romani ottengono, dall’impasto di calce, sabbia e pozzolana (sabbia vulcanica di Pozzuoli, di cui vasti giacimenti sono anche nel Lazio), una malta resistentissima che consente una presa eccezionale. Essi rielaborano così vari tipi di muratura, dal più semplice, opus caementicium, in cui un impasto di malta e frammenti di pietra viene gettato in cassoni di legno, perché ne assuma la forma; ai più complessi, in cui l’impasto viene contenuto fra due pareti di blocchetti sagomati: opus incertum, a forma di cono, o opus reticulatum, a forma di piramide. Nel periodo imperiale i mattoni di argilla seccata all’aria vengono sostituiti da quelli cotti nelle fornaci: ne derivano strutture murarie ben più solide (opus latericium). Questi tipi di muratura favoriscono la costruzione di superfici curve (contrariamente all’architettura greca, impostata su linee rette) ed il sistema costruttivo che caratterizza l’architettura romana diviene l’arco. Mentre nel sistema trilitico l’architrave rischia di spezzarsi se il peso sovrastante è eccessivo, oppure se i sostegni verticali sono troppo distanti, l’arco, con il suo andamento curvo, permette di scaricare meglio il peso della costruzione sui sostegni verticali, distanziandoli anche maggiormente. Gli ambienti risultano così più spaziosi e le colonne o pilastri che sorreggono la copertura diminuiscono di numero.
Dall’arco si originano le coperture a volta:
- più archi successivi determinano la volta a botte;
- due volte a botte incrociate ortogonalmente determinano la crociera, compresa fra sei archi, quattro laterali e due trasversali.
Le superfici curve determinano anche la volta a vela e la cupola, che i romani impostano essenzialmente su una base circolare, come nel Pantheon. Archi e volte vengono costruiti con l’aiuto di centine, sostegni lignei sagomati ad arco su cui si dispongono i mattoni e si gettano gli impasti di malta: quando la muratura è secca la centina viene rimossa. L’architettura romana, quindi, riflette inizialmente gli influssi della civiltà etrusca, come risulta anche dallo schema costruttivo del tempio. La cella tuttavia assume maggiori dimensioni, mentre le colonne, oltre che all’ordine tuscanico elaborato dagli Etruschi, si rifanno anche agli ordini greci ionico e corinzio. Il colonnato che circonda esternamente la cella è generalmente ridotto ad una serie di semicolonne addossate alle pareti laterali, mentre sulla facciata principale, secondo lo schema del tempio etrusco, un profondo portico si eleva su di un alto podio a gradini. In età imperiale il tempio, spesso anche a pianta centrale (circolare o poligonale) e ingigantito nelle dimensioni, si arricchisce di nicchie ed absidi, spazi semicircolari ricavati nelle pareti e destinati ad accogliere statue o realizzati per rendere più articolata la pianta di un edificio. La copertura non è più costituita solo da un tetto a due falde, ma anche da volte a botte o a cupola. Nel II secolo a.C. lo schema urbanistico ortogonale era l’impianto più diffuso nelle città ellenistiche, conquistate e rifondate dai Romani come proprie colonie. In quell’epoca Roma era già una città di rispettabili dimensioni. Essendo nata però come federazione di villaggi arroccati su rilievi divisi da un fiume e inframmezzati da terreni paludosi, era cresciuta adattandosi come meglio poteva all’ambiente sfavorevole e aveva assunto un aspetto simile a quello delle città etrusche dell’Italia centrale. L’abitato, addensato sulle pendici dei colli, era attraversato da vie strette e tortuose; gli spazi erano ristretti, gli spostamenti difficili. L’unico punto di riferimento comune, il foro, l’antico mercato del bestiame trasformato in centro della vita religiosa e civile, era confinato in un’angusta valletta ai piedi del Palatino. Roma dunque non rappresentava un modello di città a cui ispirarsi per la fondazione di colonie. Così lo schema razionale ellenistico, che si adattava perfettamente all’impianto tradizionale rettangolare dell’accampamento militare, il castrum, fu prontamente adottato e riprodotto in forme standardizzate prima in Italia, poi nelle più remote province dell’impero, con poche modifiche dettate da motivi pratici, le mura difensive, e religiosi, la delimitazione dei confini sacri, l’orientamento in armonia con l’ordine cosmico. Il castrum quindi da insediamento mobile divenne stanziamento fisso. Gli assi principali lungo i quali si distribuivano le tende dei soldati (cardo e decumano) si trasformarono negli assi viari più importanti della città. All’incrocio fra cardo e decumano si costruiva generalmente il Foro. Le nuove città sorgevano preferibilmente in zone pianeggianti, all’incrocio delle grandi vie di comunicazione, che permettevano rapidi spostamenti militari e fecondi scambi commerciali. Nel Foro di Roma, oltre ai templi ed alla Curia (dove si riuniscono i senatori), il tipo di edificio di maggior rilievo è la basilica, luogo di riunione dove si amministra anche la giustizia. La basilica romana deriva dai semplici porticati che, nel mondo greco, costituivano un punto di ritrovo all’interno dell’agorà, la piazza cittadina. Essa è costituita da un’aula rettangolare, la cui copertura è sostenuta da una o più file di colonne. Le basiliche più antiche sono caratterizzate da numerose aperture disposte lungo i lati; nei periodi più tardi lo spazio interno è invece delimitato più nettamente e la basilica diviene un edificio monumentale. Le vie del Foro, attraversate dai cortei vincitori al ritorno dalle campagne di conquista, sono abbellite da archi di trionfo, sulle cui superfici, come su quelle delle colonne commemorative, i bassorilievi rappresentano episodi storici che celebrano la potenza romana e tramandano le gesta dei grandi condottieri e imperatori.
Le case d’abitazione romane in epoca repubblica possono essere distinte in due tipi fondamentali: da un lato le dimore dei cittadini benestanti, le case unifamiliari ad atrio di derivazione italico-ellenistica, le domus; dall’altro i grandi condomini ‘popolari’ a più piani divisi in appartamenti, le insulae. Di quest’ultime restano esempi soprattutto a Ostia. Costruite o sommariamente riattate da speculatori senza scrupoli con il pretesto di dare asilo alle masse, avevano strutture in conglomerato cementizio rivestito di laterizio, tetti generalmente inclinati coperti con tegole, balconi e ballatoi retti da mensole di legno o pietra. Gli appartamenti, in cui spesso coabitavano più nuclei familiari, erano distribuiti su quattro o cinque piani. Le stanza erano piccole, buie, fredde (l’uso di bracieri per cucinare e scaldarsi era causa di frequenti e disastrosi incendi), senza acqua corrente né scarichi fognari. Naturalmente differente l’esistenza che si conduceva nelle abitazioni patrizie, spaziose, areate, igieniche, fornite di bagni e gabinetti e riscaldate d’inverno dagli ipocausti, complessi dispositivi che facevano passare correnti d’aria calda sotto i pavimenti. Gli esempi più antichi rinvenuti a Pompei dimostrano che già nel IV-III secolo a.C. la casa ‘ad atrio’ era già definita nei suoi elementi essenziali: una porta (ostium) preceduta da un ingresso (vestibulum) e seguita da uno stretto corridoio di accesso (fauces), affiancato da stanze di servizio; un’ampia sala centrale (atrium) coperta dalle quattro falde del tetto spiovente verso l’interno (compluvium) per poter convogliare l’acqua piovana in una vasca al centro dell’atrio (impluvium) da dove si raccoglie in una cisterna sotterranea. Intorno all’atrio si dispongono alcune camere dal letto (cubicula) e due ambienti di disimpegno aperti (alae) alle sue estremità, mentre in fondo all’atrio si trova una sala di soggiorno (tablinum) affiancata da un corridoio di passaggio all’orto-giardino (hortus) alle spalle della casa. Nel corso del II secolo a.C. l’originario hortus si trasformò in un leggiadro giardino (peristilium) con fontane e statue, che era circondato da quattro ali di portico a colonne sul quale, si affacciavano le principali stanze di soggiorno. Gli interni si arricchirono di marmi policromi, affreschi, statue, mosaici. Fu nell’ambiente privato, infatti, che i Romani poterono dare libero sfogo al nuovo gusto per l’arte, alimentato dai bottini di guerra ma ancora condannato dalla pubblica morale.
Un altro complesso architettonico di grande importanza è costituito dalle terme. I primi edifici termali sorgono in età repubblicana; a Pompei ne abbiamo un esempio. Le terme del periodo imperiale, frequentate soprattutto dai patrizi, divengono costruzioni grandiose. Un vasto edificio centrale contiene le aule termali con piscine di acqua fredda, tiepida e calda, le palestra per la lotta ed i giardini; esso appare isolato in un grande recinto lungo il quale sono disposte biblioteche e servizi e che accoglie anche una gradinata per il pubblico che assiste agli spettacoli ginnici. Le terme romane di Traiano, Cavalla e Diocleziano sono impostate su questo schema.
Nella vita cittadina dei romani acquistano grande importanza anche le manifestazioni culturali ed i giochi gladiatori. Il teatro romano si sviluppò nell’ultimo secolo della repubblica. Le strutture precedentemente adibite a questa funzione (ritenuta disdicevole) erano in legno e provvisorie per legge. Il teatro romano, riprende lo schema del teatro greco, ma lo modifica sia nella costruzione della scena, che nella cavea. Quest’ultima non si adatta più necessariamente al pendio naturale di un colle, ma sorge in una zona pianeggiante del territorio o anche in piena città, ovunque si richieda la costruzione del teatro. Le poderose strutture ad arco che sostengono le gradinate diventano così parte essenziale dell’edificio e lo caratterizzano esternamente. Il fondale alle spalle degli attori, che chiude l’orchestra, non è più un semplice muro, bensì un’altra parete ornata da due o tre ordini di colonne sovrapposte, che in età imperiale si incava con absidi. In essa si aprono tre porte, che conducono agli ambienti riservati agli attori.
L’anfiteatro, elaborazione ulteriore del teatro, è un edificio tipicamente romano ed il suo nome significa proprio doppio teatro. Ha una forma ellittica, con l’arena posta generalmente più in basso rispetto al piano stradale per limitare lo sviluppo in altezza dell’edificio e consentire, al tempo stesso, di ricavare tutta l’ampiezza necessaria alla grande cavea, divisa in settori destinati a differenti tipi di pubblico. In basso, in prossimità dell’arena, siedono l’imperatore ed i personaggi di maggior rilievo; via via, risalendo, si arriva alla zona riservata alla plebe, che assiste in piedi agli spettacoli. L’arena scavata nel terreno può essere inoltre allagata e consentire lo svolgersi di battaglie navali. L’anfiteatro Flavio, detto popolarmente Colosseo, eretto in epoca imperiale, costituisce l’esempio più grandioso di questo tipo di costruzione.
Fuori delle città, con una distribuzione di ambienti che non ricalca quella delle abitazioni urbane, sorgono in epoca imperiale grandiose ville, dimore di campagna dei ricchi proprietari e degli imperatori. Sia che assumano una forma aperta e articolate nel territorio, come la villa Adriana a Tivoli, oppure chiusa e di carattere militare, come nel palazzo di Diocleziano a Spalato, le ville imperiali, con la loro varietà di ambienti, costituiscono edifici di insuperabile monumentalità, che riassumono tutte le più raffinate tecniche costruttive del mondo romano.
I Romani, dunque, privilegiano l’architettura fra le arti e l’attività del progettista è considerata più nobile di quella dello scultore o del pittore, perché meno «manuale». Tutte le arti, comunque, concorrono a tramandare la grandezza di Roma: pittura e scultura sono considerati efficaci strumenti di informazione e propaganda, perché raccontano gli eventi e li commentano con un linguaggio comprensibile a tutti.
Scultura
Il patrimonio scultoreo romano rimastoci, a differenza di quello pittorico, è cospicuo. La matrice prevalente è quelle ellenistica, ma si avvertono anche influenze etrusche. Questi caratteri rimasero vivi anche dopo il II secolo a.C., quando Roma fu letteralmente presa dalla mania per l’arte greca: i Romani gareggiarono nell’adornare case e giardini con le statue importate dalla Grecia e dall’oriente, e poiché gli originali non bastavano a soddisfare le richieste, si cominciò a produrre copie. Intere scuole (per esempio, quella ateniese detta neoattica) trasferirono la loro attività a Roma, al servizio dei committenti, lungi dall’apprezzare il valore estetico e formale dell’arte greca, si preoccupavano soprattutto che il contenuto delle loro opere fosse coerente con la loro ambientazione architettonica. Questa propensione all’eclettismo produsse anche opere interessanti, come quelle della scuola di Pasiteles, per esempio, scultore greco attivo a Roma intorno alla metà del I secolo a.C., di cui si racconta che fosse erudito d’arte, provetto modellatore d’argilla e insigne del minuzioso naturalismo ellenistico. La scultura romana troverà accenti originali solo alla vigilia dell’impero, quando dalla fusione del verismo ellenistico e del crudo realismo medio-italico si svilupperà uno stile con forti legami terreni, oggettivi, vicino alla mentalità civile e religiosa di Roma. Questo stile si manifesterà soprattutto nel rilievo storico e nel ritratto. Presso i Romani, fin dal periodo repubblicano, è diffusa l’usanza di onorare i cittadini importanti con ritratti, che fissano realisticamente le caratteristiche del loro volto per tramandarne ai posteri la memoria e la fisionomia. Il ritratto onorario si diffonde rapidamente fra le famiglie dei patrizi e non riproduce quindi solo le sembianze di personaggi storici, ma anche di capi di famiglia o parenti illustri. Molto in uso è anche la ritrattistica funeraria già assai diffusa presso gli Etruschi, ed entrata a far parte della tradizione romana; la figura del defunto, generalmente a mezzo busto, avvolta nella toga ed in posizione frontale, appare spesso accompagnata da uno o più parenti. Probabilmente eseguiti quando il personaggio è ancora in vita, questi ritratti funerari riflettono un forte senso della famiglia, tipico dell’espressione popolare romana. Dal I secolo a.C. vengono realizzate, naturalmente, anche moltissime statue dell’imperatore. Con l’espandersi dell’impero ed il rafforzarsi della potenza romana, il ritratto dell’imperatore, venerato come un dio, perderà via via le sue caratteristiche umane, fino ad acquistare, sotto Costantino, dimensioni ingigantite, frontalità e totale mancanza di espressione. L’autorità imperiale, divina, si innalza sopra i sudditi ed è raffigurata in immagini monumentali in cui il realismo della rappresentazione è ormai completamente perduto. Nei bassorilievi e altorilievi, in tutti i periodi della civiltà romana, prevalgono i soggetti storici. L’Ara Pacis (altare consacrato alla pace nel I secolo a.C.), le grandiose colonne onorarie di Traiano, Antonino e Marco Aurelio (che raffigurano le vittorie romane sui barbari), le decorazioni degli archi di trionfo, ne sono un esempio. In questi monumenti onorari i romani sviluppano delle narrazioni assai complesse: le scene non sono divise in riquadri, ma si snodano lungo fasce ininterrotte di figure, elementi di paesaggio e architetture, in un originalissimo esempio di messaggio in sequenze. I soggetti storici vengono rappresentati anche sulle pareti dei sarcofagi, insieme ad episodi della mitologia che si riallacciano al tema della morte. Sempre nei sarcofagi sono anche frequenti le scene che si riferiscono alla vita quotidiana ed all’attività lavorativa del defunto.
Pittura
Le testimonianze della pittura romana si trovano soprattutto nelle abitazioni di Ercolano e Pompei. I soggetti, rappresentati ad affresco, sono generalmente tratti dalla mitologia che ispira immagini decorative e scene di grande vitalità; le figure sono ricche di movimento e rilievo ed i paesaggi e le architetture creano effetti illusori di profondità. In un primo periodo le pareti sono spartite in zoccoli, riquadri, cornici, pilastri differenziati dal colore che imita un rivestimento marmoreo senza raffigurazioni di scene (stile a incrostazione). Verso la metà del I secolo a.C. si afferma invece la rappresentazione di finte architetture, che ampliano illusoriamente lo spazio degli ambienti (stile architettonico). Successivamente si torna alla parete divisa in cornici dipinte; al posto delle finte lastre di marmo vengono però rappresentate figure dipinte con rapide pennellate, su fondi di un solo colore; quadri di genere, di soggetto mitologico o paesistico (stile ornamentale). Nell’ultimo periodo dell’impero, infine, si torna alla rappresentazione di elementi architettonici in prospettiva, ma in modo molto più decorativo e sovraccarico di particolari (stile illusionistico). Oltre all’affresco anche il mosaico viene utilizzato per la decorazione degli ambienti, sia delle pareti che, più spesso, dei pavimenti. I soggetti sono ancora di carattere mitologico; non mancano però quelli di tipo storico o di tipo naturalistico, ispirati alla fauna ed alla flora. Il mosaico viene realizzato con tecniche diverse, chiamate:
- opus tessellatum: che utilizza tessere bianche e nere per disegni geometrici, incorniciature;
- opus vermiculatum: che utilizza piccolissime tessere disposte in linee secondo l’andamento delle forme delle immagini raffigurate;
- opus sectile: che utilizza strette lamelle di marmo colorato, ritagliate secondo i particolari delle forme delle figure e sistemate a intarsio.
Anche se non sono giunti fino a noi esempi di pittura su tavola, sappiamo dalle testimonianze scritte che i romani la utilizzavano largamente. Durante i cortei trionfali i cartelloni dipinti raccontavano le gesta dei soldati, nei processi illustravano i reati commessi dall’imputato e nelle vie cittadine caratterizzavano le insegne dei negozi.

venerdì 21 ottobre 2011

SUMERI

Tra le antiche civiltà della Mesopotamia, In ordine di tempo, la prima a svilupparsi sembra essere la civiltà dei Sumeri, della quale fanno parte i più antichi reperti artistici, ritrovati nelle città di Uruk (odierna Warka) e Ur, nella bassa Mesopotamia, databili a partire del 4.000 a. C. In queste città si concentra la più importante produzione artistica e architettonica dell'ovest asiatico. Seguirà la fioritura delle città di Agadè, Lagash e Mari. Già intorno al III millennio a. C. il loro sviluppo politico artistico e culturale raggiunge uno splendore superiore a qualsiasi altra popolazione precedente.

In base ai ritrovamenti archeologici, i Sumeri sono i fondatori delle prime grandi città della storia. La memoria leggendaria di Ur, Uruk, Làgash, Èridu, Umma, Nìppur, già ricorre nelle Sacre Sritture. Per questo la loro civiltà è detta "monumentale" o "urbana".
Ai Sumeri si attribuiscono alcune delle prime e più importanti invenzioni dell'uomo:
•la geometria, inizialmente impiegata per misurare i campi
•l'astronomia, mediante la quale viene elaborato il primo calendario basato sul mese lunare di 29 o 30 giorni
•il primo uso della scrittura, in tavolette pittografiche, secondo la formula degli ideogrammi, che gradualmente subiscono una stilizzazione fino al sistema di scrittura cuneiforme.
•l'idraulica che permette l'impiego di una complessa rerte di canali per l'irrigazione dei campi
•Nell'architettura numerose invenzioni, tra cui: il mattone, l'arco e le volte

Il popolo dei Sumeri è organizzato in città-stato, autonome e indipendenti, governate da un re (detto lùgal) che è anche grande sacerdote (èn) e giudice supremo.
L'insieme delle varie città non arriva mai a costituire un unico stato, ciò comporta scontri frequenti e sanguinosi tra città vicine in lotta per la supremazia.
Più volte sottoposte a invasioni da parte dei popoli circostanti, i Sumeri a partire dal 1800 a.C. sono soppiantati nel potere dai Babilonesi.
Il materiale da costruzione tipico di questa civiltà è il mattone, dovuto all'abbondanza di argilla presente nel territorio. Il mattone, anche per via delle dimensioni e del peso modesti, si rivela molto pratico per le costruzioni, anche quelle di dimensioni notevoli, come le ziggurat o le mura difensive delle città.
I sumeri hanno inventato e utilizzato due tipi di mattone: Il mattone crudo e il mattone cotto.
•Il mattone crudo è realizzato con argilla prima lavorata, mescolata a paglia, poi sagomata e compattata con i piedi e infine essicato al sole.
•Il mattone cotto dopo la lavorazione veniva cotto nei forni ed era più solido di quello crudo.


I sumeri iniziano a usare i mattoni molto presto, anche se nel periodo più antico, per la difficoltà di reperire legna da ardere necessaria a cuocerli, fanno uso soprattutto di mattoni crudi, limitando quelli cotti nelle fondamenta e in alcune parti strutturali. Poi il mattone cotto viemne impiegato con più frequenza, come nei palazzi pubblici, nelle ziggurat, ecc.
Più tardi i mattoni verranno incollati con malta di calce e bitume e sono posti a file alternate di piatto e file di taglio, ottenendo la tipica muratura con disegno a lisca di pesce. Per le coperture i Sumeri utilizzano la terra battuta su un fondo di stuoie e uno strato di sterpi.
In posizione dominante, nel quartiere sacro dell'antica Ur, la grandiosa ziggurat è stata fatta costruire dal re Ur-Nammu alla fine del XXI secolo a. C. E' dedicato al dio della luna Nannar.


Ziggurat di Ur, presso Nassrya, Iraq.

L'edificio, di pianta rettangolare, è costruito all'interno con mattoni crudi e rivestito da un enorme strato di mattoni cotti. Le murature sono rinzaffate con calcina di fango o bitume. I muri hanno profilo a scarpa e presentano in tutto il perimetro esterno, robusti contrafforti. La struttura si compone di tre livelli a terrazzi che si riducono verso l'alto, ed è preceduta da un avancorpo rettangolare su cui poggiano le tre rampe delle scalinate d'accesso.
Le dimensioni e le attezze dei vari livelli sono scalate in maniera proporzionale, passano dai 12 metri di lato del piano inferiore ai 5 metri di quello mediano ai 3 metri del livello superiore.
L'effetto verticale e l'armonia dell'insieme è suggerito oltre che dalla forma a torre scalata, dai muri inclinati e dalle scalinate che si congiungono obliquamente sotto una torre di guardia, in origine coperta a cupola. Inoltre gli architetti hanno praticato una correzione ottica incurvando leggermente verso l'esterno le pareti, per evitare che sembrino piegate verso l'interno.


Le funzioni della ziggurat

La ziggurat è un gigantesco palazzo-tempio.
Nei piani bassi erano situati probabilmente, botteghe e magazzini, seguiva il livello con gli appartamenti reali, le sale di rappresentanza e di riunione.
Sul piano più alto sorgeva il santuario, con cella unica, nella quale si custodivano le statue degli dei e i sacerdoti svolgevano i riti più solenni.


A. Cocchi


A. Cocchi

domenica 25 settembre 2011

PREISTORIA


Realtà e rappresentazione

Le funzioni che l’arte può svolgere sono molteplici. Tuttavia è inconfutabile che l’arte sia nata con la funzione di rappresentare la realtà. Poi l’arte è divenuta un linguaggio per comunicare con gli altri, ma inizialmente essa servì a conoscere la realtà attraverso la rappresentazione.
Lo schema che sintetizza il rapporto tra realtà e rappresentazione è il seguente:

In pratica l’Artista compie due processi fondamentali: 1) percepisce la realtà; 2) la interpreta facendosene un’idea. A questo punto nasce la rappresentazione. Essa può essere anche solo una immagine mentale, ma nel caso che a noi interessa questa rappresentazione diviene o un’immagine concreta o un oggetto.
A prescindere dal campo artistico, qualsiasi rappresentazione è sempre una conoscenza della realtà. E la conoscenza è sempre una rappresentazione.

A questo punto vale la pena capire come si suddividono le rappresentazioni. Esse sono di due tipi fondamentali: le rappresentazioni analogiche e le rappresentazioni logiche. Le prime nascono da un rapporto di analogia con la realtà (imitano le forme che percepiamo guardando), le seconde si affidano al logos (alla parola quale simbolo che descrive la nostra idea della realtà).

Facciamo un semplice esempio: la fotografia di una sedia è una rappresentazione analogica, la parola «sedia» è anch’essa una rappresentazione, ma di tipo logico. In pratica se la rappresentazione è principalmente rappresentazione degli elementi percettivi (ciò che si vede) diciamo che essa è analogica. Se invece la rappresentazione tiene più conto della nostra idea o concettualizzazione della realtà (ciò che pensiamo) essa diviene di tipo logico. Le rappresentazioni logiche ricorrono in genere a simboli o segni di tipo linguistico (parole) o matematico (numeri e formule). Le rappresentazioni analogiche usano quasi esclusivamente le immagini.
Ma l’immagine non sempre è analogica: può anch’essa essere di tipo logico. Ma prima di proseguire bisogna introdurre un altro concetto: quello di naturalismo. Definiamo una rappresentazione naturalistica quando essa è uguale alla percezione. Viceversa una rappresentazione è antinaturalistica quando è diversa dalla percezione. Facciamo un esempio. Un ritratto eseguito da Raffaello è un’immagine naturalistica; la scomposizione cubista di un volto come realizzata da Picasso è una rappresentazione antinaturalistica.

In pratica anche nella costruzione dell’immagine si può dare prevalenza o agli elementi della percezione o a quelli dell’interpretazione. Nel primo caso diciamo che l’immagine è di tipo naturalistico, e quindi l’arte che la produce si muove in un sistema ottico. Nel secondo caso diciamo che l’immagine è di tipo antinaturalistico, e quindi l’arte che la produce si muove in un sistema concettuale.
Tutta la storia dell’arte si è mossa in questi due ambiti fondamentali: il sistema ottico e il sistema concettuale, producendo opere che sono variamente collocabili tra rappresentazioni naturalistiche e rappresentazioni antinaturalistiche.
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Dopo questa necessaria premessa cerchiamo di capire cosa avviene in quella straordinaria stagione culturale che è stata la preistoria.
Con il termine preistoria si intende quel grande periodo che precede l’invenzione della scrittura, la cui prima comparsa è databile al 4.000 a.C. È un periodo lunghissimo che inizia qualche milione di anni fa, dalla prima comparsa dell’uomo al mondo. Ma la storia dell’arte inizia molto dopo: all’incirca intorno al 30.000 a.C. A questo periodo risalgono le prime testimonianze artistiche a noi giunte. Il periodo che quindi ci interessa viene suddiviso in tre grandi blocchi: il paleolitico, il mesolitico, il neolitico:
• l’arte paleolitica va all’incirca dal 30.000 al 10.000 a.C.
• l’arte mesolitica va all’incirca dal 10.000 al 6.000 a.C.
• l’arte neolitica va all’incirca dal 6.000 al 4.000 a.C.
Dopo questo periodo inizia la storia, in quanto compare la scrittura, ma finisce anche l’età della pietra, in quanto viene scoperta la metallurgia e compaiono i primi utensili metallici.
Arte paleolitica
I primi esempi di arte figurativa risalgono a circa 25.000 o 30.000 anni fa. Questa età viene definita paleolitica, in quanto sono i periodi iniziali in cui l’uomo utilizza utensili in pietra. Le manifestazione artistiche di questo periodo sono pitture rupestri ritrovate in grotte, spesso inaccessibili, ubicate soprattutto nella Francia centrale e nella Spagna settentrionale, o sculture sbozzate in piccole pietre. Il dato che che appare evidente, in queste prime rappresentazioni, è l’aderenza al naturalismo: l’uomo preistorico concepisce le immagini come raffigurazione del mondo visibile. Realtà che, al di là dei suoi limiti tecnici, l’artista cerca di raffigurare così come egli la percepisce.
Molte ipotesi sono state fatte, sulle motivazioni che hanno indotto gli uomini preistorici a produrre immagini nelle caverne. Dato che i soggetti di queste immagini sono quasi sempre animali, si è pensato ad una specie di ritualità religiosa. L’uomo del paleolitico viveva soprattutto di caccia. Procurarsi il proprio sostentamento con un’attività violenta basata sullo scontro fisico, doveva ingenerare molte ansie esistenziali. A queste si dava probabilmente una risposta in termini, che possiamo definire, magici. La magia è il credere che esistono legami misteriosi tra le cose, che, se sfruttati, producono relazioni di cause ed effetti. Da sempre, uno dei pilastri della magia, è il credere che esista un legame invisibile tra l’immagine e la cosa rappresentata. In tal modo, si può produrre un effetto (benefico o malefico) sulla cosa (per esempio, un animale), agendo sulla sua immagine. Così si giustificherebbe questa produzione di immagini di animali, quale magia propiziatoria, che compivano i cacciatori, prima di andare a caccia.
Tuttavia, ricorrendo allo schema illustrato sopra, la rappresentazione del reale, è sempre momento di conoscenza. Attraverso la costruzione di una immagine, si chiarisce meglio, a livello di coscienza dell’artista, la realtà che si va a rappresentare. È probabile che questa sia la spiegazione più semplice, ma più plausibile, del perché l’uomo del paleolitico abbia iniziato a disegnare immagini nelle caverne: conoscere la realtà.
Arte mesolitica e neolitica
L’età paleolitica finisce circa 12.000 anni fa. In questo periodo si ha una modificazione notevole nelle società umane, passando queste da una economia di prelievo (caccia e raccolta di vegetali spontanei) ad una economia di produzione (agricoltura ed allevamento). Le conseguenze di ciò furono notevoli, e portarono ad una struttura embrionale delle società umane, che è ancora quella attuale.
Possiamo ritenere che il cacciatore paleolitico non avesse un legame stabile con un luogo specifico, ma vivesse di flussi migratori, spostandosi alla ricerca di nuove mandrie da cacciare. L’agricoltore mesolitico deve necessariamente radicare la propria vita al sito che ha scelto di coltivare. Nacque così il concetto di proprietà terriera, necessario per distinguere dagli altri il sito che il singolo agricoltore coltivava. Si specializzò ulteriormente la differenziazione dei popoli, in quanto gli agricoltori che coltivavano appezzamenti contermini, finirono per costituire una comunità con propri usi e costumi. In questo momento, in pratica, nacque il concetto di nazione, come connubio di etnia e di territorio di appartenenza. Ed in questa fase, con la necessità di insediamenti stabili nacquero l’architettura e le prime forme di insediamenti urbani. L’attività costruttiva, insieme a quella agricola, fu l’inizio della trasformazione che, da allora, l’uomo è andato compiendo della superficie terrestre, trasformandola da ambiente naturale, ad habitat umano. In sintesi, possiamo ritenere che in questa fase nacque il concetto di territorio, così come ancora oggi lo intendiamo.
Con le prime forme di villaggi stabili e di città nacque la specializzazione del lavoro, e di conseguenza la società cominciò a differenziarsi in classi sociali. In questa fase, possiamo ritenere che si modificò anche la religione. Le divinità dei cacciatori paleolitici non potevano che essere maschili, perché dovevano "dare" la forza necessaria allo scontro con le prede. Le divinità degli agricoltori neolitici divennero femminili, perché l’agricoltura si fonda non sulla forza (che è un principio genetico maschile) ma sulla fertilità (che è invece un principio genetico femminile). Il cacciatore si procurava il cibo attraverso la morte, l’agricoltore attraverso la nascita.
Un ritorno alle divinità maschili si ebbe quando la forza divenne nuovamente un elemento propulsivo. Quando, cioè, le comunità divennero predatrici di altre comunità. La conquista della ricchezza avveniva non più a scapito della natura e degli animali, ma a scapito degli altri uomini che avevano già accumulato altre ricchezze. Ma questo è un passaggio che si comincia a verificare nell’età neolitica ma che diverrà intenso solo quando si passerà dalla preistoria alla storia.
Ma nel mesolitico e nel neolitico assistiamo anche ad una fondamentale rivoluzione per ciò che riguarda l’arte e la comunicazione in genere. Le rappresentazioni paleolitiche sono di tipo naturalistico. Colgono soprattutto l’immagine della realtà. Nel mesolitico e neolitico le rappresentazioni divengono sempre più antinaturalistiche. Si passa prima dall’immagine al simbolo, poi da questo ultimo al segno. In pratica si comincia ad elaborare un sistema di rappresentazione più generico che porta alla sostituzione dell’immagine con un segno di più semplice realizzazione e di più immediata utilizzazione. È questo il passaggio fondamentale che consente all’uomo primitivo di passare da un rappresentazione analogica ad una logica. È il passaggio che determina l’invenzione della scrittura.
In questo momento, con l’invenzione della scrittura, l’uomo riesce ad avere un linguaggio più articolato. Riesce ad elaborare un meccanismo che serve a pensare, ancor prima che a comunicare. È solo grazie al linguaggio che l’uomo può articolare dei pensieri, e non solo elaborare delle sensazioni, in quanto il linguaggio è lo strumento di pensiero per eccellenza. Ma, affinché si abbia un linguaggio, deve avviarsi un grande processo che è quello della significazione. Bisogna, cioè, rende universalmente validi i segni linguistici, e le regole per usarli.
In base alla moderna linguistica, si definisce segno l’unione inscindibile di significato e significante. Una parola (sedia, tavolo, bottiglia, bicchiere) è un segno. Essa rappresenta una realtà, così come le immagini, ma in maniera diversa. Le immagini colgono l’aspetto visibile del reale, le parole solo il concetto. Per cui, con l’immagine si ottiene una rappresentazione di una realtà particolare, con le parole si ottiene una rappresentazione più generica ed universale (la parola «sedia» indica tutti gli oggetti, indipendentemente da forma e fattura, che permettono di sedersi, la parola «bottiglia» tutti gli oggetti, di dimensione non eccessiva, che consentono di contenere un liquido; e così via).
I segni linguistici, proprio perché non rimandono visivamente all’immagine delle cose, per funzionare devono essere univoci: ad una categoria di oggetti deve corrispondere un solo segno, e quel segno deve indicare solo quella categoria di oggetti e non anche altre. In questo modo nasce un segno: quando la parola (il significante) indica, senza possibilità di errore, l’oggetto o il concetto che rappresenta (il significato).
Questa fase di elaborazione del linguaggio, nel grande processo della «significazione», viene testimoniata proprio dalle rappresentazioni artistiche del mesolitico e neolitico. Le raffigurazioni tendono ad essere sempre più semplificate e stilizzate. Si passa, in sostanza, dal disegno al segno.
Le raffigurazioni non colgono più l’individuo, ma diventano il simbolo di una classe di individui. Operando per categorie concettuali, si passa da un pensiero fondato sull’analogia (l’immagine) ad uno fondato sulla logica (la parola).
Rispetto alle pitture, vengono preferite le incisioni, proprio per la maggiore immediatezza di esecuzione e comunicazione. Esse sono il laboratorio per arrivare alle prime forme di scrittura: quelle ideografiche, scritture cioè le cui parole hanno l’aspetto ancora di immagini fortemente stilizzate. In seguito, ma questo avverrà molti secoli dopo, l’uomo inventa anche le scritture fonetiche, così dette in quanto i segni che la compongono non descrivono direttamente le cose ma i suoni che pronunciamo nel dire una parola. Il pregio delle scritture fonetiche, che, a parte Cina e Giappone, sono oggi universalmente adottate, è di utilizzare un numero molto ridotto di segni base (le ventisei lettere del nostro alfabeto occidentale) di contro alle molte migliaia di segni che usano le scritture ideografiche.

venerdì 23 settembre 2011

ARTE ?

Cosa è l’arte
Il significato della parola «arte» non è definibile in maniera univoca ed assoluta. La sua definizione è variata nel passaggio da un periodo storico ad un altro, e da una cultura ad un’altra. Tuttavia, pur nelle diverse connotazioni finora date al concetto di «arte», scegliamo alcune caratteristiche che possiamo ritenere costanti:
1. «arte» è il prodotto della creazione umana.
2. non tutta la produzione umana è «artistica», ma solo quella che ha una qualità superiore.
Per capire le due affermazioni precedenti, consideriamo la realtà. Essa è formata da cose prodotte dalla natura (rocce, acqua, alberi, ecc.), che definiamo «naturali», e cose prodotte dall’uomo (case, telefoni, automobili, ecc.), che definiamo «artificiali». Quindi tutto ciò che l’uomo produce rientra in una categoria distinta. In questa grande categoria dell’«artificiale» rientra anche quella parte della produzione umana che definiamo «arte». Ma l’arte non si definisce perché produce quadri e non automobili, ma perché produce qualcosa di migliore rispetto alla media. Un quadro può essere un’opera d’arte (ma può anche non esserlo) così come anche un’automobile può essere un’opera d’arte. In ogni settore dell’attività umana vi è un top di eccellenza i cui prodotti rappresentano, in quel settore, delle opere d’arte. Facciamo un altro esempio: costruire tavoli non è un’attività con finalità propriamente artistiche, tuttavia anche in questa attività l’uomo può dare il meglio di sé, scegliendo materiali migliori, progettando una forma diversa, eseguendo con maggior cura la realizzazione del manufatto. Ciò che verrà fuori sarà un tavolo migliore degli altri, e che non è improbabile possa anche finire in un museo.
Quindi, ricorrendo ad un semplice grafico, quale quello riprodotto in figura, l’arte è la partizione orizzontale, e non verticale, che si colloca al livello superiore delle cose artificiali, ed è comune a tutte le attività umane.
insieme delle cose naturali arte insieme delle cose artificiali
Per recuperare il significato che tradizionalmente attribuiamo alla parola «arte», dobbiamo effettuare un’altra considerazione. Tra le attività umane ve ne sono alcune con finalità spiccatamente utilitaristiche (le attività industriali in genere), altre con finalità spiccatamente espressive (letteratura, teatro, cinema, pittura, danza, ecc.). Queste ultime possono avere finalità diversissime (poetiche, ludiche, propagandistiche, conoscitive, ecc.) ma hanno tutte in comune un tratto saliente: operano sui mezzi di comunicazione, ovvero sui linguaggi che permettono la comunicazione tra gli esseri umani.
Quando si parla di linguaggi si entra in un territorio di enorme complessità, tuttavia è intuitivo e per nulla complesso comprendere come la comunicazione possa utilizzare linguaggi tra loro molto diversi. Alcuni linguaggi utilizzano le parole, altre i suoni, altre le immagini, altre le forme, altre i gesti e i movimenti. I linguaggi di sole parole generano la letteratura e la poesia. I linguaggi di soli suoni generano la musica. I linguaggi di sola gestualità generano le arti mimiche. I linguaggi di gestualità e di musica generano la danza. E così via. I linguaggi che utilizzano le forme e le immagini generano quelle arti che noi definiamo «visive».

In realtà quando si usa la parola «arte», nella maggioranza dei casi si intende quella «visiva», anche se non viene specificato. Tuttavia questa è una semplificazione che può generare qualche errore, facendo ritenere che è artistica solo quell’attività che produce quadri o sculture, ma ciò, per quanto finora detto, non è assolutamente vero. Quindi, per maggior precisione, è il caso di ricordare che quella che noi studieremo non è «tutta» la storia dell’arte, ma solo la storia delle arti visive.
Concludendo quando abbiamo detto, possiamo trarre alcune semplici considerazioni. Un albero non può essere un’opera d’arte: non è stato fatto dall’uomo e qundi non rientra nell’insieme delle cose artificiali (alcuni studenti mi hanno chiesto se un bonsai può essere considerato un’opera d’arte: in questo caso sì). Un quadro non è un’opera d’arte: lo è solo un quadro fatto bene.
Ma come si fa a capire, o decidere, quando un quadro, o una scultura, è un’opera d’arte? Questo è il grande problema che rende affascinante lo studio della storia dell’arte. Non esiste una risposta univoca o un metodo infallibile per stabilire cosa è «arte». In questo problema rientrano capacità di giudizio e di valutazione molto variabili da individuo ad individuo e da epoca ad epoca. Diciamo, in senso generico, che la valutazione di ciò che è «arte» deriva sempre da una operazione di tipo storico-critica. Non esistono leggi che stabiliscono che Picasso può essere considerato un’artista ma non può essere considerato tale il mio dirimpettaio che pure si diverte a dipingere tele. È solo la storia e la critica che ci danno gli strumenti (o le motivazioni) per decidere quale pittore può essere considerato un artista e quale no.
Cosa è l’opera d’arte
Un’opera d’arte si può scindere in tre parti fondamentali:
• il soggetto
• la forma
• il contenuto.
In sintesi, il soggetto è il tema che l’opera affronta. La forma è la parte visibile e tattile di un’opera. Il contenuto è ciò che un’opera comunica.
Bisogna fare attenzione a come vengono adottati questi termini, in quanto non vi è molta uniformità. In un suo recente libro (Capire l’arte, ed. Mondadori, 1999), Stefano Zecchi usa i termini «forma» «contenuto» «espressione» indicando con il primo termine ciò che anche io definisco «forma», con il secondo termine ciò che io chiamo «soggetto» e con il terzo termine ciò che io indico come «contenuto».
Anche uno dei maggiori storici dell’arte del Novecento, Erwin Panofsky, in un suo celebre saggio dal titolo «Iconografia e iconologia», definisce l’interpretazione dell’opera d’arte su tre parametri fondamentali che egli definisce: 1) soggetto primario (o preiconografico), 2) soggetto secondario (o iconografico), 3) significato intrinseco (o contenuto). In pratica il soggetto primario è ciò che io chiamo «forma», il soggetto secondario è ciò che io ho definito «soggetto» e il significato intrinseco è quanto io indico con «contenuto».
Chiarito questo aspetto linguistico, cerchiamo di capire meglio la differenza tra i tre aspetti dell’opera d’arte.
Il soggetto è il pretesto dal quale nasce l’opera d’arte. Se in una chiesa dedicata a Santa Lucia serve un’immagine che raffiguri questa santa, è ovvio che il soggetto riguarderà un episodio della sua vita o del suo martirio. In pratica il soggetto è ciò che si vuole rappresentare.
La forma comprende tutte le scelte stilistiche che un artista compie nell’eseguire la sua opera. Potrà scegliere uno stile semplicemente illustrativo, uno molto più riccamente decorato, potrà usare colori forti e accesi, o viceversa colori deboli e spenti, e così via. Le scelte formali che un artista compie sono praticamente illimitate, e portano a risultati formali sempre diversi.
Il contenuto è quello che un’opera ci comunica. Ritornando all’esempio riferito ad un episodio della vita di Santa Lucia, l’opera può comunicarci senso di dolore, sentimenti mistici, fiducia nella Giustizia Divina, e così via. Ma un’opera ci comunica anche come l’artista, i suoi committenti, e più generalmente la società in cui vivevano, si rapportavano ad un problema specifico.
Per essere più precisi, il contenuto di un’opera d’arte non è mai unico, ma può a sua volta essere diviso in tre contenuti fondamentali:
• i contenuti diretti
• i contenuti indiretti
• i contenuti interpretativi
I contenuti diretti sono quelli che volontariamente l’artista e i suoi committenti hanno voluto comunicarci con la realizzazione dell’opera.
I contenuti indiretti sono quelli che deduciamo dall’opera e che l’artista è riuscito involontariamente a comunicarci circa il pensiero e la cultura del suo tempo.
I contenuti interpretativi sono quelli che si vengono a stratificare su un’opera grazie alla letteratura storico-critica che si è succeduta nel tempo.
Benché una recente tradizione critica, che ha avuto molta fortuna in Italia nel Novecento, abbia privilegiato i contenuti diretti nella interpretazione e valutazione di un’opera, bisogna tener presente che spesso sono proprio i contenuti indiretti quelli che rendono interessante un’opera d’arte.



Cosa è la storia dell’arte
Da ciò che abbiamo definito nella precedente lezione, diamo ora due semplici definizioni di «stile» e di «poetica». Con il termine «stile» intenderemo l’insieme di scelte formali che accomunano le opere di un singolo artista o di un intero periodo storico. Con il termine «poetica» intenderemo invece l’insieme di scelte contenutistiche che accomunano le opere di un singolo artista o di un intero periodo storico.
Il passaggio da una stagione ad un’altra della storia dell’arte avviene per un cambio sostanziale o dello stile o della poetica, o di entrambi, che accomuna gli artisti di un certo periodo. Questo passaggio può avvenire con due procedimenti fondamentali, che potremmo definire di continuità o di rinnovamento. Nel primo caso, la stagione precedente tende ad essere assorbita dalla nuova, che nasce come evoluzione della precedente. È il caso dell’arte romana che nasce come evoluzione di quella ellenistica ed etrusca, o dello stile gotico che nasce come evoluzione del romanico. Nel secondo caso, il susseguirsi delle stagioni artistiche prende un aspetto di più intesa polemica, dove il nuovo nasce per superare, rifiutandola, l’arte precedente. È il caso, ad esempio, dell’arte neoclassica che nasce dal rifiuto dell’arte barocca.
La storia umana non sempre ha avuto una consequenzialità diretta, per cui alcune situazioni artistiche sono rimaste prive di rapporti e scambi con altre civiltà artistiche. Tuttavia, considerando la nostra arte occidentale come un unico filo che si è dipanato dalla preistoria ad oggi, la tradizione storiografica tende a suddividere questa storia in quattro grandi blocchi:
I le culture primitive e arcaiche: comprendono le prime manifestazioni artistiche conosciute dell’età preistorica, e quelle delle grandi civiltà dell’antichità, quali l’arte egiziana, l’arte sumerica, l’arte cretese, l’arte micenea, ecc.; questo periodo copre un arco di tempo molto ampio: va dal 30.000 a.C. fino al 1000 a.C. circa.
II le culture classiche: comprendono le manifestazioni artistiche nate in Grecia e di lì diffusesi in tutto l’Occidente prima con le conquiste di Alessandro Magno e poi con l’impero romano; questo periodo va all’incirca dal 1000 a.C. alla caduta dell’impero romano avvenuta nel 476 e viene in genere diviso in tre grandi periodi: l’arte greca, l’arte ellenistica, l’arte romana.
III le culture medievali: comprendono i fenomeni artistici che hanno contraddistinto l’Europa dal crollo dell’impero romano d’occidente alla nascita dell’umanesimo; è un arco temporale di circa mille anni, che va dalla caduta dell’impero romano (476) giunge fino agli inizi del 1400. In genere viene diviso in due grandi blocchi: il periodo fino all’anno Mille viene definito «alto medioevo», il periodo dopo l’anno Mille è invece chiamato «basso medioevo».
IV le culture moderne: prendono avvio con l’umanesimo e il rinascimento, per giungere fino ai giorni nostri. Questo periodo, quindi, copre l’arco temporale dal 1400 ad oggi, e vede il susseguirsi di numerosissimi periodi: l’arte rinascimentale e manieristica che giunge fino alla fine del XVI secolo, l’arte barocca che va dagli inizi del Seicento alla metà del Settecento, l’arte neoclassica che copre la seconda metà del Settecento ai primi decenni dell’Ottocento, l’arte romantica che si sviluppa nella prima metà dell’Ottocento, e così via.
Questo schema ha un valore molto relativo per ciò che riguarda i nostri scopi, e riflette solo una specializzazione di studi in ambito accademico. I primi due periodi sono infatti oggetto di studio soprattutto da parte degli archeologi. Il terzo periodo è invece studiato dai medievisti, mentre il quarto è il campo di lavoro degli storici moderni e contemporanei.